Il rapporto Draghi è mastodontico (400 pagine) perché la sfida che l’Unione Europea dovrà affrontare per riformare la propria economia è altrettanto gigantesca. Il documento è diviso in due parti: la sezione A (introduzione generale sulle varie priorità) e la sezione B (le analisi e le proposte capitolo per capitolo). La ricetta Draghi, in sintesi, vuole evitare la “lenta agonia” dell’Europa attraverso misure “subito attuabili” e altre che, di fatto, richiedono un maggiore coraggio politico, andando ad intervenire sulla governance dell’Ue, ad esempio introducendo sempre di più “il voto a maggioranza” in Consiglio, superando così i veti dell’unanimità. Il documento si divide in 10 aree – Energia, Materie Prime Critiche, Digitalizzazione-Tecnologie Avanzate, Industrie ad alta intensità energetica, Tecnologie pulite, Automotive, Difesa, Spazio, Farmaceutica e Trasporti – analizzate nel loro stato attuale (deficitario) e accompagnate da possibili correzioni; a queste si aggiungono 5 “macro politiche orizzontali” per far sì che l’attuazione avvenga secondo una logica prestabilita, poiché – come ha spiegato l’ex presidente del Consiglio italiano e governatore della Bce – tutto si tiene e non si può fare “una cosa da una parte e un’altra contraria dall’altra”. Analizzando il rapporto emergono molti principi generali e altrettante soluzioni pratiche. Per “ridurre il costo dell’energia per i consumatori finali e accelerare la decarbonizzazione” – l’Europa paga tra le 3 e le 5 volte in più degli Usa – si deve allora “incoraggiare un progressivo allontanamento dall’approvvigionamento spot” e “rafforzare la capacità di approvvigionamento congiunto e la gestione coordinata dello stoccaggio”. Un accenno viene fatto anche alla necessità “accelerare lo sviluppo del nucleare di nuova generazione” con i piccoli reattori Smr e Amr. Oppure “garantire l’accesso stabile alle materie prime critiche” per esempio “aumentando la produzione, la lavorazione e il riciclo domestico nell’Ue”. O ancora. “Potenziare la digitalizzazione e l’adozione di tecnologie avanzate per la competitività” rafforzando “le capacità di calcolo ad alte prestazioni e intelligenza artificiale” e “sostenendo lo sviluppo dell’industria dei semiconduttori nell’Ue”. Certo, uno dei passaggi più spinosi – e più attesi – del rapporto Draghi era quello sui finanziamenti, dato che serviranno risorse immense per finanziare alcune delle misure proposte. “Se le condizioni politiche e istituzionali sono presenti, l’Ue dovrebbe continuare, basandosi sul modello del NextGenerationEu, a emettere strumenti di debito comune, che verrebbero utilizzati per finanziare progetti di investimento congiunti volti ad aumentare la competitività e la sicurezza europea”, si legge nel rapporto. La logica, ad ogni modo, non sarebbe quella del debito ‘a prescindere’ ma dell’azione mirata, laddove la leva pubblica serve anche ad innescare gli investimenti privati. Le raccomandazioni nel settore della difesa – tra le più attese del rapporto – parlano abbastanza chiaro. Il documento propone infatti di “rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa europea per soddisfare le nuove esigenze”, “aumentando l’aggregazione della domanda tra gli Stati membri e promuovendo la standardizzazione”. Ma siccome il vulnus sta nei bassi volumi di Ricerca e Sviluppo (R&S) – qui nel 2022 l’Ue ha investito 9,5 miliardi di euro rispetto ai 140 miliardi di dollari degli Stati Uniti – l’idea sarebbe quella di concentrare i finanziamenti su “iniziative comuni”, attraverso “nuovi programmi a duplice uso” e “progetti europei di difesa di mutuo interesse”, così da organizzare “la necessaria cooperazione industriale”.
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