La decisione di affidare a Ranieri la guida della Roma è stata la prima cosa giusta che i Friedkin hanno fatto dopo avere commesso una serie di errori sesquipedali, alla radice del loro annus horribilis. In dieci mesi, gli americani hanno licenziato tre allenatori e hanno assunto il quarto: José Mourinho, esonerato il 16 gennaio; Daniele De Rossi, confermato il 25 giugno per tre anni ed esonerato il 18 settembre; Juric, assunto il 18 settembre ed esonerato il 10 novembre; Claudio Ranieri, assunto il 15 novembre. Auspicabilmente, si presume che il signore di Testaccio venga lasciato libero di lavorare in pace, onde permettergli di riportare in carreggiata una squadra bisognosa prima di tutto di fare pace con se stessa e con una tifoseria che ne ha sopportate abbastanza e ne ha le tasche piene di una proprietà la cui capacità di spesa è inversamente proporzionale alla capacità di capire una volta per tutte che cosa sia la Roma per i suoi tifosi e che cosa rappresentino i suoi tifosi per la Roma. Invece, lo sa bene, anzi benissimo, il Signor 1400 panchine, lo straordinario traguardo che taglierà il 24 novembre a Napoli.
La sua caratura di tecnico si è già consegnata alla storia del calcio internazionale per la Premier League conquistata otto anni fa con il Leicester. Ranieri si è coperto di gloria in Inghilterra, ma anche in Italia, in Spagna, in Francia ed è stato pure ct della Grecia. L’ultima impresa, nel nome di Gigi Riva, è stata la promozione in A con il Cagliari nel 2023, la stessa squadra che, fra l’88 e il ’91, Claudio aveva portato dalla C al massimo campionato, siglando poi la salvezza dei rossoblù il 19 maggio scorso a Parma. Dopodiché, il tecnico aveva annunciato il ritiro, nonostante avesse ricevuto più offerte di quando aveva vinto la Premier. L’ha confidato a Trigoria, dov’è ritornato solo per la Roma e per i romanisti è stato il sollievo dell’anima. Soprattutto perché, vivaddio, ci voleva un romanista a denominazione d’origine controllata per rompere l’assordante silenzio dei Friedkin, i quali (forse) hanno finalmente capito cosa sia il romanismo, inteso come cuore, passione, condizione dello spirito.
Per dirla con Venditti, “ci fa sentire amici anche se non ci conosciamo/ ci fa sentire uniti anche se siamo lontani/ batte forte, forte, forte in fondo al cuore/ ci toglie il respiro/E ci parla d’amore”. Ranieri III non ci ha messo un attimo per mostrare la sua schiena dritta agli americani. Le parole pronunciate al ritorno a casa sono state chiare, nette, senza se e senza ma: su Dybala, su Hummels, su De Rossi, su Totti, sulla squadra, sul rapporto con i Friedkin, sul ruolo presente di allenatore e futuro di dirigente, anche se già è l’uno e l’altro, a giudicare da ciò che ha detto e da come l’ha detto. Sopra ogni cosa, l’allenatore ha anteposto il legame indissolubile della Roma con i suoi tifosi, consapevole come lui e soltanto lui possa ricucirlo, essendo stato lacerato dalle scelte societarie tutte sbagliate che ancora fanno schiumare rabbia a chi aveva garantito all’Olimpico la serie record di sold out. Ci voleva Ranieri, per dire in faccia al magnate Usa che il re è nudo, per comunicare urbi et orbi ciò che nessuno dei suoi tesserati gli aveva mai detto: “Friedkin sa di aver speso tanti soldi e di non essere riuscito a fare quello che aveva voluto”. Ci voleva Ranieri, per affermare: “Lo sapete, io le cose le dico in faccia e tutte quelle che penso le ho dette alla proprietà”. Ha chiosato: “Il fato ha voluto che tornassi a casa. Ho iniziato alla Roma da giocatore e finirò da allenatore e dirigente”. Dicono: il destino non è una questione di fortuna, ma di scelte: non è qualcosa che va aspettato, ma qualcosa che deve essere raggiunto. Ranieri lo sa bene, è questa la sua forza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA